Eko 700: 1961-1965

CUTAWAY STYLING COMBINED WITH GRACEFUL FLOWING-CURVED HEAD PROVIDES THE ULTRA MODERN SHAPE MOST PREFERRED BY TODAY’S PROFESSIONAL

Il disegno delle tre spalle mancanti è un classico dell’industria italiana degli anni 60 e l’idea di modellare per ellissi il lato inferiore della chitarra sembra essere stato un esercizio di Bartolini e i Cingolani. Alla fine quasi tutti i produttori ne avevano una in catalogo e in origine quella piccola ansa doveva servire a suonare seduti mantenendo l’impostazione classica con il manico inclinato verso l’alto. In epoca di complessi e capelli lunghi diventò presto solo una innovazione stilistica irrinunciabile, la “Forma Ultra Moderna preferita dai Professionisti”. Negli Stati Uniti la terza spalla mancante è chiamata, non senza ironia, shark-bit, morso di pescecane e servì a National nel ‘62 per sagomare il corpo della Glenwood 99 come la mappa degli USA. La paletta è qualcosa che abbiamo già visto su alcune tedesche della fine degli anni 50 come la Hopf Special.

La Eko 700 entra in produzione nel ’61 e viene lanciata in grande stile alla Fiera di Milano del ’62 con il primo catalogo a colori. Tutto tradisce l’ispirazione spaziale. Sono gli anni della conquista dello spazio, dello Sputnik e ovviamente della Stratocaster.  Sulla tastiera sono presenti i segnatasti a forma di disco volante caratteristici di tutta la prima produzione Eko. Contemporaneamente vedono la luce la Wandré Oval, l’ufo di Pioli, la Spazial di Crucianelli a forma di luna fino ad arrivare al razzo delle Rokes.

La maggior parte della produzione era ricoperta di celluloide, faceva eccezione il modello 720 in legno massello non ricoperto. Il retro del corpo nero o madreperlato si intonava con i rivestimenti frontali disponibili che erano il rosso, il blu, l’argento e l’oro perlinati, il madreperlato bianco e, infine, il nocciola: un’imitazione conturbante delle venature del legno. Con quest’ultima opzione il retro del corpo era ricoperto di una imitazione fluorescente della radica e il manico era spesso rifinito con un viola tigrato. Su qualche esemplare fu usato anche il tipo di plastica “spaghetti alla bolognese” già visto su altri modelli e un variegato all’amarena rosa per la gioia dei collezionisti.

Ai controlli  più tardi fu aggiunto un minijack asservito a un interruttore per remotare un effetto esterno. Accessorio piuttosto originale e – vado a memoria – presente solo su questo modello nella storia della chitarra.

Per dovere di cronaca aggiungiamo che era disponibile in due, tre e quattro pick-up, con o senza vibrato, mancina, e che ne furono fatti pochi esemplari anche della versione basso oltre che alla versione dimostrativa in plexiglas denominata Swan. La Eko costruì anche una bizzarra versione semiacustica a tre spalle mancanti chiamata 295.

Per i maniaci della datazione la Eko 700 è un’oasi felice. Le caratteristiche evolutive consentono di datarla con precisione. Gli elementi che variano dal 1961 al 1965 sono inequivocabili. Sui primissimi esemplari il logo è del tipo a “spaghetti” invece del classico biscottino nero. Il vibrato è ancora il primitivo Ekomaster che diede il nome al modello 400. I potenziometri sono paralleli alle corde.

Nel 62 il vibrato è costituito da una solida piastra di metallo. Poi i potenziometri vengono inclinati come sulla Stratocaster, obliqui rispetto alle corde. Qualche mese ancora e i potenziometri ruotano ulteriormente fermandosi perpendicolari alle corde.

Siamo solo al 1963 nella breve storia della Eko 700 quando la piastra del vibrato viene sostituita da un coperchio di plastica in tono col battipenna. Ma gli instancabili designer, non contenti, a metà dello stesso anno cambiano la forma del battipenna, ora più arrotondato e sinuoso e aggiungono il minijack con switch per remotare gli effetti.

Agli Sherlock Holmes della cronologia non sfugge l’ulteriore evoluzione del 1964 che vede fare la sua comparsa il vibrato esterno e la cornice nera intorno ai pick-up.

Nel 1965 la produzione è agli sgoccioli, si vedono manici diversi, segnatasti a punto e vibrati di tipo Bigsby probabilmente riesumati dal magazzino dopo l’incendio del 66. Inizia l’era delle Vox e delle semiacustiche. I modelli perlinati vanno in pensione.

Le prime generazioni sono dotate di meccaniche Van Gent aperte con bottoni ovali di plastica bianca. Poi cominciano ad apparire chiavette a tulipano (probabilmente fatte da Schaller) che diventano gradualmente prevalenti fino ad essere quasi generalizzate alla fine.

Rarities

Uno strumento assente dai listini e dai cataloghi probabilmente fatto in una ventina di esemplari. Le ragioni per cui non fu fatta la versione basso in modo standardizzato rimane ignota. 

Nel repertorio delle sorprese ci sono queste due 700 mancine, quasi sicuramente un ordine custom dalla Francia.

Questo esemplare sembra originale ed è stranamente ricoperto di vinile invece che celluloide… Un prototipo per una fornitura in Germania?