Mario Maccaferri

maccaferri5Fin da bambino Maccaferri dimostrò di avere un carattere forte e, avendo espresso l’interesse di lavorare col legno, già a 11 anni (1911) divenne apprendista liutaio presso il maestro Luigi Mozzani (faentino, trasferitosi a Cento). Dal 1915 lavorò come liutaio presso il laboratorio di liuteria “Cantiere Officina” aperto dal Mozzani. Mentre imparava il mestiere di liutaio studiò chitarra classica e nel 1916 entrò alConservatorio di Siena nel quale si diplomò dieci anni dopo. Nel 1919 iniziò i primi concerti in Italia e dopo il diploma, lasciò temporaneamente il lavoro di liutaio animato dalla voglia di suonare. Si dedicò quindi alla carriera concertistica e negli anni venti e anni trenta fu un valente chitarrista classico che si esibì in tutta Europa, ma restò sempre appassionato anche della costruzione dello strumento.

Tra il 1926 e il 1927 Maccaferri vinse premi per i suoi violini e violoncelli a concorsi a Roma, Fiume e Montecatini. In quegli anni elaborò la sua chitarra-arpa.

Nel 1927 la liuteria fu trasformata in “Scuola di Liuteria Italiana Luigi Mozzani” e Maccaferri si diplomò anche maestro liutaio.  Nel 1929 Maccaferri emigrò a Londra dove tra un concerto e l’altro insegnava chitarra ed essendo costantemente alla ricerca del “suo” suono e della chitarra ideale, costruiva prototipi in continuazione.

A Londra conobbe Ben e Lew Davis, due fratelli che gestivano la rappresentanza Selmer in quella città. I F.lli Davis impressionati da un modello di chitarra di Maccaferri vollero presentarlo a Henry Selmer in persona.

Henry Selmer, uno dei cinque superstiti di sedici figli di Charles-Frederic Selmer morto nel 1878, assieme al fratello Alexandre facevano parte della quarta generazione di musicisti diplomati al Conservatorio di Musica di Parigi come clarinettisti, verso la fine del 1800. All’epoca per essere un musicista professionista occorreva aver le capacità di costruire e riparare o modificare da soli i propri strumenti ed accessori. Prima dell’industrializzazione in larga scala strumenti e accessori erano fatti a mano.

Henri Selmer, quindi un musicista alla vecchia maniera e costruttore, fu convinto sia dai Davis che dalla qualità degli strumenti e dalla reputazione e background di Maccaferri con Mozzani, ed accettò l’idea di costruire chitarre Selmer nella fabbrica di Mantes-la-Ville vicino a Parigi. Selmer sentenziò che se queste chitarre fossero state accettate dal pubblico ne avrebbero costruite molte. Era il 1931.

I lavori iniziarono con una serie di 300 chitarre marcate Selmer. Dopo poco Maccaferri diventò il direttore della fabbrica di chitarre all’interno della quale si costruivano anche le custodie. Prese con sé numerosi operai, principalmente italiani, li addestrò alle sue tecniche costruttive e divennero parte della produzione. Disegnò i progetti per le chitarre e diresse i lavori di costruzione di ogni particolare. A quel punto il maestro tornò a Cento, nella sua città natia, a recuperare anche altri piani e materiali che aveva lasciato in Italia e rientrato a Parigi diede vita ai suoi disegni e progetti dei suoi strumenti.

Tra le innovazioni che Maccaferri portò alle chitarre acustiche  vi furono le chiavi sigillate (meccanismo non a vista), il rinforzo in metallo interno al manico e la divisione in due parti dell’osso del ponticello delle chitarre classiche, visibile in alcune delle prime chitarre usate da Django, per migliorare l’intonazione, poi, passando alle corde in metallo il ponticello fu addirittura mobile (altra sua innovazione) con punti di riferimento a forma di baffi sul piano armonico.

A Parigi il 6 maggio 1932 Selmer registrò, con numero 736.779, il brevetto della cassa risuonante interna collegata al piano armonico degli strumenti musicali. Questa invenzione del 1927 era di Maccaferri e serviva ad isolare il fondo vibrante della cassa di risonanza per evitare che il suono venisse attutito (soffocato) dal corpo della chitarra. Il risuonatore interno era fabbricato come un’altra tavola armonica attaccata solo alla tavola esterna. Aggiungeva così un riflettore che aveva il compito di proiettare il suono verso la bocca dello strumento. Ecco perché allargò la bocca e la costruì da rotonda, delle tradizionali chitarre classiche, a “D”.

Django Reinhardt, genio musicale, provò una delle Grande Bouche “D” a 12 tasti e se ne innamorò. Quella chitarra si adattava perfettamente alla nuova musica da ballo: Jazz manouche.

Ma ci piace ricordare Maccaferri soprattutto per gli ukulele e le chitarre in plastica prodotte negli USA negli anni 50. Purissimo fetish e oggetto di desiderio per ogni collezionista.